Non ho mai creduto al “volare basso”: le mie squadre di calcio preferite, forti o deboli, Bierhoff o Pianca, mostravano orgoglio ed ambizione se non proprio qualità. Chi vola basso si fa meno male quando cade, ma statisticamente cade più spesso (e quantomeno non si è divertito per nulla).
Provo perciò una pena infinita a scrivere di quanto successo oggi al Daciabunker. Lo faccio come mettessi punti di sutura su un taglio troppo largo per poter essere chiuso con quattro parole.
E su consiglio dei più preparati fra Voi, lo faccio cercando di scrivere come sono: semplice(mente).
E semplicemente dico che giocatori e allenatore oggi hanno messo in scena un primo pomeriggio di cui possono a gran voce vergognarsi, così come già i gruppi che li precedettero sotto la guida dell’Anziate e prima ancora del Profeta di San Giovanni.
La cornice del caloroso pubblico, mai raffreddato dall’acqua caduta fino alla fine del primo tempo ed al netto della brutta figura degli Offspring a palla e soprattutto dei fischi nel minuto di silenzio in memoria di C.A. Ciampi (sommersi dagli appluais del resto del bunker: anche per me non è stato un granché come presidente, ma durante il raccoglimento se non si è d’accordo si sta seduti, non si fischia), sì della curva ma anche del resto dello stadio è stato ammirevole.
Lo so: il Chievo è l’anticalcio per eccellenza. Un gruppo vecchio, sporco, brutto e cattivo il più giovane nel quale si è fatto fotografare con Vittorio Pozzo dopo il secondo trionfo mondiale del 1938. Allenato però da un gran bel tecnico. Ma se questi scendono a Udine e dominano per 95’ la gara, sfiorando la rete in più occasioni, e nella seconda parte viaggiano per il 70% del tempo al limite dell’area bianconera, tutto ciò può solo significare che da parte dei casalinghi c’è stata una controprestazione, di quelle che ne hanno contraddistinto le ultime stagioni, in casa e fuori.
Lo scout della gara dice che l’Udinese ha tirato nello specchio cinque volte e i clivensi tredici: mai come stavolta i numeri sono bugiardi. I tiri pericolosi friulani, oltre la rete, sono stati due, uno per tempo. Di contro, fra i tiri fuori ci sono due enormi occasioni gialloblù sprecate al limite dell’area piccola.
Non so se fosse bene far giocare Armero e Wague dall’inizio, ma quel che appare chiaro perfino a me è che il mister bianconero ha atteso troppo a prendere contromisure adeguate: dal primo istante della ripresa, infatti, il Chievo si è apparecchiato di fronte all’area di Karnezis cingendola d’assedio; dalla parte di Wague scendevano sempre due avversari, di là Pablo non teneva più né Castro né Cacciatore (mica Garrincha e Bruno Conti). A quel punto perché non inserire un difensore vero, che so, Angella, a solidificare l’unica fase che oggi pareva contare per i bianconeri?
E quale sarà mai la necessità di attendere il cambio di borotalco Théréau, oggi incapace calcisticamente di intendere e volere, col volitivo Perica, attaccante baciato da Eupalla in persona e grazie al quale si sono portati a casa sei punti pesantissimi sinora?
Iachini ha sbagliato. E involontariamente lo ammette in sala stampa, dopo il rituale “due disattenzioni, due reti” che sta a metà fra la bugia pietosa e la bestemmia calcistica. Ha grosse responsabilità, Gioacchino da Ascoli, ma non tal da meritarsi il cento per cento della colpa e gli insulti, inaccettabili, del leonino popolo della tastiera, pronto ad accostare persone e deiezioni come fosse cosa normale. Ah già, è la democrazia del web per cui ognuno deve poter dire la sua. Anche in messaggi il contenuto dei quali è tanto pesante da risultare quasi ridicolo.
Iachini dopo un’ora ha dovuto sopperire all’infortunio del Konungur ljónanna Emilione mio (se non gioca contro la Viola, come pare probabile, allora sì sono volatili per diabetici) decidendo di inserire lo spartano Pana Kone. L’idea non era malvagia: alzo la squadra, impedisco ai clivensi di attaccare in dieci, ne tengo occupati un paio in più. Due controindicazioni: la prima, che a quel punto dalla parte di Armero (grazie alla capacità di filtro del grecalbanese) sfondano proprio tutti; la seconda, che Kone è in edizione-Théréau, e si siede col prode francese a sorseggiare assenzio leggendo “Le Figaro” ed ascoltando Aznavour, di calcio nemmeno l’ombra lontana.
Iachini non ha colpa se oggi Kums ha deciso di calarsi nel ruolo di centromediocre senza metodo, uno dei tanti passati all’Udinese da quando il progetto pare fare cilecca; se DePaul non ha mai sentito la famosa frase che il Paròn soleva recitare ai suoi centrocampisti “Venesia” (cosiddetti per la loro incapacità a passare la sfera con tempi accettabili) e che più o meno faceva “ciò déi, la bala t’à da darla quando che te devi, no quando che no te ghe pol più!”; se nonostante i ripetuti urlacci, i suoi undici si sfilacciavano anziché compattarsi, dando quasi l’impressione di non farcela più?
L’azione del raddoppio veronese è esiziale, per chi come me ci credeva e ci crede: rimpallo a centrocampo, sfera in profondità dove Castro parte dietro le spalle di Wague che lo marca come nemmeno in quarta serie; palla in mezzo, Cacciatore (non Garrincha né Bruno Conti) è solo in area piccola e deposita nel sacco del povero Oreste. Tutto questo, si badi bene, subendo una specie di contropiede. A difesa schierata. Al novantacinquesimo minuto. Amen.
Settantadue ore e sarà Viola; dicono quelli bravi “ci saranno più spazi”. Sì, ma anche più qualità e tasso tecnico. Da affrontare senza Widmer e Hallfredsson. Pur sempre in undici. Dei quali, misteriosamente, dopo una preseason da titolari sono scomparsi Fofana e Jankto. Del francese Iachini dice “deve maturare tatticamente”: se quelli maturi si sono visti in campo oggi, fra i titolari e qualche subentrante, viva l’immaturità del polipo parigino.
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