Il calcio friulano piange uno dei suoi padri nobili. Si è spento all’età di 82 anni Enzo Ferrari, l’allenatore che più di ogni altro ha incarnato la passione, la sofferenza e i sogni dell’Udinese degli anni '80. Un uomo che ha saputo essere molto più di un tecnico: un rivoluzionario, un visionario, un simbolo indelebile nella memoria collettiva bianconera.
Chi c’era, ricorderà per sempre quella stagione 1980/81, quando con la squadra sull’orlo del baratro, fu proprio lui – richiamato alla guida della squadra in un momento disperato – a firmare un’impresa storica. All’ultima giornata, contro il Napoli, a tre minuti dalla fine, Gerolin segnò il gol salvezza. L’urlo del Friuli si confondeva con un solo nome: “Enzo salvaci tu!”, un grido diventato leggenda, che ancora oggi risuona nei ricordi dei tifosi più appassionati.
Ma Enzo Ferrari non fu solo l’uomo della salvezza. Fu anche l’architetto dell’Udinese dei sogni, quella che nella stagione 1982/83 chiuse al sesto posto in Serie A, ottenendo uno dei migliori piazzamenti fino a quel momento nella storia del club. E, soprattutto, fu l’uomo che allenò l’Udinese di Zico. Sì, proprio quella squadra che seppe unire il talento del fuoriclasse brasiliano al coraggio tattico di un tecnico che non ebbe mai paura di rischiare.
Ferrari fu uno straordinario anticipatore dei tempi: basti pensare a quanti giocatori scelsero nuove carriere grazie alla sua capacità di intuire doti e potenzialità nascoste. Giocava con tanti attaccanti quando il calcio italiano era ancora schiavo del catenaccio, cambiava ruolo ai suoi ragazzi per tirarne fuori il meglio, e li valorizzava al punto da aprir loro carriere di primo piano (vedi Gigi De Agostini, che da terzino diventò un punto fisso poi di Juve e Nazionale).
Spesso sottovalutato dal grande calcio, in un’epoca in cui i riflettori illuminavano solo le panchine delle società più blasonate, Ferrari ha invece lasciato una traccia profonda, forte e autentica, costruita con il lavoro, l’intelligenza e la fedeltà a una maglia.
E fu proprio lui, nel 1983, a diventare il primo allenatore italiano a guidare un club spagnolo, sedendosi sulla panchina del Real Saragozza. Un’ulteriore dimostrazione di quanto il suo valore fosse riconosciuto anche oltre i confini nazionali.
Oggi, la sua scomparsa lascia un vuoto che va oltre il terreno di gioco. L’Udinese perde un pezzo della sua anima, uno di quei personaggi che hanno saputo regalare emozioni vere, che hanno saputo restare nel cuore della gente, non solo per i risultati ma per la coerenza, l’umiltà e la passione.
Ma il nome di Enzo Ferrari torna prepotentemente attuale anche nell'Udinese di oggi. A differenza di chi fatica a gestire uno spogliatoio complicato e, soprattutto, a valorizzare una figura come quella Sanchez, Ferrari sapeva come si gestiscono i campioni. Mi ricordo un aneddoto, di quando qualche anno fa in un bar di Via Aquileia gli chiesi: “Mister, ma com’era allenare Zico?”, lui sorrise e rispose: “Facile. Gli davi la maglia e gli dicevi: ‘tornamela sudata tra due ore’. La cosa difficile era far capire ai compagni di passargli la palla anche se era marcato in tre. Per loro era impossibile che potesse liberarsi, lui tre o quattro li saltava con un tocco. Allenare i campioni è facile, è più difficile allenare quelli scarsi”.
Un insegnamento che suona come una lezione anche oggi, in tempi in cui spesso si preferisce ignorare il talento o lasciarlo in panchina. Ferrari avrebbe fatto il contrario. Ed è anche per questo che rimarrà per sempre nei cuori dei tifosi bianconeri.
Enzo, salvaci tu: un grido che nasceva dalla paura e dalla speranza, e che oggi torna a essere un saluto affettuoso e pieno di riconoscenza. Perché il suo nome, per chi ama l’Udinese, non sarà mai dimenticato.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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