L'Udinese se l'è giocata come poteva, mettendo in campo una difesa arcigna e cercando di colpire nelle poche occasioni a disposizione in contropiede. Catenaccio e palla lunga, come la versione più classica del calcio italiano insegna. Nonostante il sacrificio, due giocatori rotti e un muro che ha provato a reggere fino al triplice fischio, la vince l'Inter al 94esimo, quando in molti pensavano che quel punticino fosse ormai meritatamente conquistato.
Dire che l'Inter ha rubato, però, mi sembra un po' troppo. La squadra di Inzaghi è stata tutt'altro che bella ma non potevamo pensare di portare a casa l'intero bottino con un mezzo tiro di Samardzic finito - con la complicità di Sommer e Dumfries - in rete. Serviva qualcosa in più, soprattutto contro una squadra che fa della profondità della rosa la sua forza maggiore.
Inzaghi toglie un ottimo Mkhitaryan e inserisce il match winner Frattesi. Cioffi perde Lovric per infortunio ed è costretto ad inventarsi Ebosele punta. La differenza al di là di tutto sta lì. Questi siamo e i tanti infortuni non ci aiutano di certo.
Certo che il tecnico toscano aveva preparato (con le armi al momento a sua disposizione) bene la partita, come d'altronde l'aveva preparata bene con Milan e Juve. Ieri sera però non è bastato e la superiorità neroazzurra, anche se in pieno recupero, è emersa. Lo dicevo in fase di presentazione: per fare punti serviva un miracolo e se appunto si chiama miracolo non può accadere ogni santo lunedì.
Non succede ma se succede...ecco questa volta non è successo.
Profondità di rosa ma anche gestione dei momenti topici e mentalità vincente. L'Udinese va al riposo in vantaggio, rientrata dagli spogliatoi prende gol. Ecco, in quei minuti, quando l'Inter ovviamente tornava in campo con rabbia e alzava i giri del motore l'attenzione doveva essere massima su ogni dettaglio. Invece, l'ottimo Okoye esce male travolgendo Thuram e dando il via alla rimonta neroazzurra.
La mentalità poi. Essere commoventi non vuol dire affatto essere dei vincenti perché come la storia dimostra, provarci non basta bisogna riuscirci. Ripercorrete la partita e ditemi su quante seconde palle arrivavamo prima noi. Ve lo dico io, pochissime. Arrivavano sempre prima loro e il motivo non è soltanto la condizione o le capacità dei singoli. Quell'agonismo, quella rabbia troppo spesso manca ad alcuni dei nostri. L'Inter, a cui un pareggio non cambiava più di tanto la corsa scudetto essendo largamente al primo posto, aveva il sangue agli occhi fino all'ultimo centesimo di secondo. Noi, che in ballo abbiamo una salvezza tutta da conquistare, no.
E poi il gol, la mazzata, quando ormai l'arbitro iniziava già a guardare il cronometro. Ok, giocavamo in 10 perché l'infortunato Thauvin era in campo soltanto a fare presenza. C'erano otto giocatori in difesa. Sul tiro di Lautaro nessun giocatore dell'Udinese va a protezione di Okoye e Frattesi, tutto solo, può insaccare indisturbato.
Lì dovevamo esserci, per l'importanza che quel punto aveva, per la salvezza che è fatto di una corsa in più, di un aiutarsi anche quando non ce n'è più nelle gambe. L'Udinese, come era già successo, sul più bello ha mollato.
Oggi fa male, tanto male ma è giusto così.
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