Il doppio ex di Udinese (2012-2014) e Cagliari (2008-2011), Andrea Lazzari, è intervenuto durante la nostra trasmissione Warm Up per parlare dello scontro diretto per la salvezza ma non solo. Il momento delle due squadre, la loro identità e il suo passato in bianconero: a tu per tu con Andrea.
Tu eri quella magica sera ad Anfield nel 2012, che ricordi hai?
Solo a sentire la parola Anfield mi vengono ancora i brividi. La faccia incredula di Pasquale è l'emblema di quella serata, perché lui non era solito fare gol. Ha regalato a noi e al popolo friulano un'emozione incredibile.Secondo me c'è stata tanta spensieratezza, senza affrontare la partita con l'ansia ma sapendo che avevi tutto da guadagnare. Eravamo consapevoli che potevamo mettere in difficoltà il Liverpool, anche se devo dire la verità che nessuno di noi inizialmente credeva di poter vincere. Passando i minuti però...
Che idea ti sei fatto invece di questa Udinese?
È qualche anno che sta facendo un po' di fatica, forse anche per via dei tanti cambi di allenatori. Ovviamente da fuori non sai esattamente cosa succeda ma mi viene in mente il Bologna che anni fa era nella stessa situazione dell'Udinese di adesso: si tratta di cicli che si alternano. Credo però che i friulani abbiano dietro una società solida e capace di tornare a grandi livelli.
Riesumando un po' i ricordi ci viene in mente il gol da centrocampo che hai fatto: quanto ci hai pensato? Oppure era solo istinto?
Era il secondo che facevo da centrocampo dopo Grosseto in Serie B. Con l'Udinese subentravo dalla panchina e quando sei fuori fai caso a molti aspetti della partita che in campo non riesci ad analizzare. Avevo notato che il portiere tendeva a stare più fuori dai pali del dovuto quando non erano in possesso di palla, allora uno dei primi palloni toccati ho subito provato a calciare in porta e mi è andata bene.
I tifosi ti ricordano bene perché hai dato tutto per la maglia, mentre al giorno d'oggi è sempre più raro vederlo. Può essere anche dovuto a un nucleo di italiani che ora non c'è più all'Udinese?
Anche quello ha influito certo. Mi ricordo che Pinzi, Domizzi, Di Natale, Pasquale appena sono arrivato mi avevano trasmesso il senso di appartenenza a questo club. Adesso quasi tutte le società si stanno muovendo verso quella direzione e di italiani che giocano nel nostro campionato ce ne sono sempre meno e poi la Nazionale ne risente.
Che giocatore era Di Natale?
Incredibile, è il primo che mi viene in mente se penso ai calciatori più forti con cui ho giocato. Ti dico la sincera verità: faceva schifo da quanto era forte. Era impressionante, aveva una facilità di tiro, tecnica e un fiuto del gol fuori dal normale. Sapeva sempre dove cadeva la palla e anticipava mentalmente la giocata. Capiva prima dove gli mettevo il passaggio, in base a come mettevo il corpo, prendendo quel mezzo secondo decisivo al difensore.
Hai conosciuto il Pereyra da giovane, che persona è? Ti aspettavi una sua carriera del genere?
È stato bravo a calarsi subito nella mentalità italiana e poi con il lavoro ha ottenuto grandi risultati. Il Tucu nello spogliatoio era uno zitto zitto ma in realtà stava molto al gioco e gli piaceva divertirsi. Lo vedi sempre pacato, anche nelle interviste o sul campo, però era bello starci assieme.
Appena arrivato a Cagliari ti hanno consegnato subito la maglia numero 10: che piazza è?
Non è proprio come Udine, però senti lo stesso attaccamento del popolo che trasmette alla squadra e lo senti allo stadio e in città. Cagliari è una piazza molto importante e bella dove giocare. Sono molto attaccato anche a Udine, mi è rimasta nel cuore. Sarei rimasto volentieri anche dopo il prestito ma non è stato possibile. Ho passato in Friuli due anni bellissimi.
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