Da oltre trent'anni presenza fissa nella Serie A, l'Udinese ha costruito la propria identità su una visione lungimirante del calcio, valorizzando talenti scoperti in giro per il mondo. La società friulana si è distinta per il suo modello di scouting e gestione, capace di portare in Italia giocatori destinati a segnare epoche, specialmente nel reparto offensivo.
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Abel Balbo, il primo grande bomber
Nel 1989 l'Udinese puntò sull'Argentina per rinforzare il proprio attacco, trovando in Abel Balbo un attaccante capace di lasciare il segno. Non un centravanti dal fisico imponente, ma un finalizzatore straordinario, dotato di tecnica e freddezza sotto porta. Il suo primo anno in Italia fu un banco di prova importante: arrivato a Udine fresco di matrimonio con Lucilla, si ambientò rapidamente al calcio italiano, segnando il suo primo gol alla quarta giornata contro il Milan, seguito da un'altra rete alla Sampdoria. In coppia con Marco Branca, dimostrò subito le sue doti di progressione e precisione in area di rigore, chiudendo la stagione con 11 reti. Tuttavia, nonostante la sua crescita, l'Udinese non evitò la retrocessione.
Balbo ne approfittò per affinare la tecnica e potenziare il colpo di testa, migliorando anche la resistenza fisica. I risultati non tardarono ad arrivare: 22 gol nella stagione successiva, laureandosi capocannoniere della Serie B. Il suo secondo anno tra i cadetti fu più complicato a causa di problemi al ginocchio, ma riuscì comunque a contribuire al ritorno dell'Udinese in Serie A nel 1992. La stagione successiva fu la migliore della sua avventura friulana: con 21 gol in campionato e il ritorno della coppia con Branca, si guadagnò il soprannome El Killer per la sua letalità sotto porta.
Il gol più iconico del suo periodo a Udine, però, non fu uno di quelli segnati in Serie A. Il 14 giugno 1993, nello spareggio salvezza contro il Brescia, aprì le marcature in un match che permise ai friulani di mantenere la categoria. Dopo la vittoria per 3-1, lasciò la maglia ai tifosi e salutò l'Udinese con 70 gol in 144 partite. Il suo addio al Friuli fu segnato da un clamoroso colpo di scena: sembrava destinato all'Inter, ma un curioso episodio legato alla sua firma cambiò tutto. "La moglie di Pellegrini esaminava le firme e la mia non passò l'esame", raccontò anni dopo. L'affare saltò e fu la Roma a portarlo nella capitale, investendo 18 miliardi di lire per farne il nuovo perno offensivo.
Oliver Bierhoff, il gigante d'area
Se Balbo era tecnica e precisione, Oliver Bierhoff rappresentava la forza fisica e la capacità di dominare il gioco aereo. Quando nel 1995 il tedesco arrivò in Friuli, i tifosi dell'Udinese accolsero il suo acquisto con scetticismo. Non aveva un grande nome e, prima di imporsi, aveva vissuto un periodo complicato in Italia con l'Ascoli, dove nelle prime partite non riusciva a trovare la porta. Ma il centravanti tedesco aveva qualcosa di speciale: un senso del gol fuori dal comune e un gioco aereo devastante. Alla fine, la fiducia della dirigenza bianconera si rivelò più che azzeccata.
Nella prima stagione con l'Udinese, Bierhoff segnò 17 gol, zittendo gli scettici e conquistando anche una convocazione con la nazionale tedesca. L'anno successivo, pur segnando "solo" 13 reti, contribuì in modo decisivo alla prima storica qualificazione della squadra in Coppa Uefa. Ma fu nella stagione 1997/98 che scrisse la pagina più gloriosa della sua carriera: l'Udinese chiuse il campionato al terzo posto, un risultato straordinario, e Bierhoff si laureò capocannoniere della Serie A con 27 gol, lasciandosi alle spalle nientemeno che Ronaldo, il Fenomeno brasiliano.
Al centro dell'attacco di Zaccheroni, in un tridente completato da Paolo Poggi e Marcio Amoroso, il tedesco divenne inarrestabile. Non era un attaccante particolarmente tecnico, ma nel gioco aereo era dominante e il suo senso della posizione lo rendeva un'arma letale in area di rigore. I suoi 57 gol in 86 partite con la maglia bianconera sono ancora oggi un riferimento per chiunque voglia comprendere il valore di un bomber puro.
Dopo aver conquistato l'Italia con la maglia dell'Udinese, Bierhoff seguì Zaccheroni al Milan, dove vinse lo scudetto nel 1999. Ma in Friuli il suo ricordo è ancora fortissimo: per molti tifosi, non si è più visto un attaccante con la sua capacità di segnare con una tale continuità.
Marcio Amoroso, il brasiliano letale
Nell'estate del 1996, l'Udinese decise di rafforzare il proprio reparto offensivo con l'acquisto di Marcio Amoroso, un talento brasiliano dotato di grande velocità, tecnica sopraffina e un innato senso del gol. La squadra friulana, reduce dall'11° posto in campionato, affidò la guida tecnica ad Alberto Zaccheroni, che volle fortemente Amoroso per completare un attacco già composto dal bomber tedesco Oliver Bierhoff e dall'esterno Paolo Poggi. L'intesa tra i tre si rivelò subito vincente: il brasiliano, grazie alla sua versatilità, riusciva a ricoprire sia il ruolo di seconda punta che quello di trequartista, garantendo imprevedibilità e qualità al 3-4-3 ultra-offensivo del tecnico emiliano.
L'impatto di Amoroso sulla Serie A fu immediato: nella sua prima stagione in bianconero, l'attaccante si fece notare con una doppietta decisiva contro la Fiorentina, contribuendo alla vittoria per 2-0. Da quel momento, iniziò a segnare con grande regolarità, chiudendo la stagione con 12 reti, tra cui una doppietta memorabile alla Juventus allo Stadio Delle Alpi. Grazie alle sue giocate, l'Udinese conquistò un prestigioso quinto posto e la qualificazione alla Coppa UEFA, segnando l'inizio di una nuova era per il club friulano.
Nella stagione successiva, 1997/1998, Amoroso partì bene ma subì un calo di rendimento nella seconda parte dell'anno, chiudendo con soli cinque gol. Il protagonista assoluto di quella stagione fu Oliver Bierhoff, che con 27 reti trascinò l'Udinese a uno storico terzo posto in campionato, garantendo ai bianconeri l'accesso alla Champions League. Tuttavia, Amoroso rimase un elemento fondamentale nel gioco della squadra, dimostrando una crescita costante e facendo intravedere il suo enorme potenziale.
L'estate del 1998 segnò una svolta per l'Udinese: Bierhoff e Zaccheroni si trasferirono al Milan, privando i friulani di due figure chiave. Il nuovo allenatore, Francesco Guidolin, decise di puntare tutto su Amoroso, affidandogli il peso dell'attacco. Il brasiliano non deluse le aspettative e iniziò la stagione nel migliore dei modi, segnando cinque gol nelle prime tre giornate. Grazie alla sua tecnica, alla capacità di finalizzare e alla leadership in campo, divenne il vero trascinatore della squadra.
Al termine della stagione 1998/1999, Amoroso si laureò capocannoniere della Serie A con 22 gol, superando attaccanti di fama internazionale e confermandosi come uno dei migliori giocatori del campionato italiano. La sua abilità nel dribbling, il fiuto del gol e la capacità di esaltarsi nelle partite più importanti lo resero uno degli attaccanti più ricercati del panorama europeo.
Le prestazioni straordinarie di Amoroso non passarono inosservate e, nell'estate del 1999, il Parma decise di puntare su di lui per rafforzare il proprio attacco. La squadra emiliana, reduce dalla vittoria della Coppa UEFA e della Coppa Italia, investì ben 70 miliardi di lire per acquistarlo, offrendogli l'opportunità di giocare al fianco di Hernán Crespo in un attacco stellare. Per l'Udinese fu un duro colpo perdere il proprio bomber, ma il suo nome rimase scolpito nella storia del club friulano, che grazie a lui visse una delle stagioni più entusiasmanti della propria storia.
Di Natale, il re del Friuli
Se c'è un nome che più di tutti incarna l'Udinese, quello è Antonio Di Natale, calciatore che rappresenta una delle icone più luminose della storia dell'Udinese e della Serie A. Il suo nome evoca talento, dedizione e fedeltà assoluta alla maglia bianconera. Arrivato a Udine nel 2004 dall'Empoli, Di Natale ha impiegato poco tempo per diventare il punto di riferimento della squadra friulana, trasformandosi in un attaccante letale capace di segnare in ogni modo possibile.
La svolta della sua carriera avviene nella stagione 2009/10, quando, grazie alla fiducia dell'allenatore, viene impiegato stabilmente al centro dell'attacco. Il risultato è straordinario: con 29 reti, vince la classifica dei cannonieri, un'impresa che ripeterà anche l'anno successivo con 28 gol. La sua straordinaria vena realizzativa consente all'Udinese di raggiungere traguardi prestigiosi, come la qualificazione alla Champions League, e di consolidarsi come una realtà di primo piano nel panorama calcistico italiano.
Nonostante le numerose offerte provenienti da club blasonati come Juventus e Milan, Di Natale sceglie di rimanere a Udine, legando indissolubilmente il proprio nome alla squadra friulana. Questo lo rende una delle ultime vere bandiere del calcio italiano, un simbolo di lealtà e attaccamento ai colori bianconeri.
Anche in Nazionale, Di Natale lascia il segno, partecipando a tre tornei internazionali: gli Europei del 2008 e 2012 e il Mondiale del 2010. Indimenticabile il gol segnato alla Spagna nella partita inaugurale di Euro 2012, a testimonianza della sua classe e del suo fiuto per il gol.
Il 15 maggio 2016, con 209 reti all'attivo in Serie A (sesto miglior marcatore di sempre nella massima serie italiana), Di Natale gioca la sua ultima partita con l'Udinese contro il Carpi. Il Friuli lo omaggia con un tributo emozionante, celebrando l’addio di un campione che ha fatto la storia del club. La sua eredità sportiva rimane viva nei cuori dei tifosi e nel ricordo di un calcio che premiava la fedeltà e l'amore per la maglia.
Arrivato nel 2004, rimase in Friuli per dodici stagioni, diventando il miglior marcatore della storia del club con 191 gol. Dopo i trent'anni migliorò come un vino d'annata, arrivando a sfiorare la Scarpa d'oro nella stagione 2009-10 con 29 reti in campionato. Di Natale non era solo un goleador, ma un leader carismatico che rifiutò più volte offerte da squadre blasonate per restare legato ai colori bianconeri.
Roberto Muzzi e Vincenzo Iaquinta, attaccanti dal carattere forte
Tra i bomber dell'Udinese, meritano una menzione anche Roberto Muzzi e Vincenzo Iaquinta. Il primo, arrivato nel 1999, si distinse per grinta e duttilità, mentre il secondo, con la sua potenza e il fiuto del gol, si guadagnò la convocazione e la vittoria nel Mondiale 2006 con l'Italia. Due giocatori che hanno saputo interpretare il ruolo dell'attaccante in modi diversi, ma sempre con grande efficacia.
Alexis Sánchez, il Nino Maravilla
In Friuli sono passati molti attaccanti talentuosi, ma pochi hanno avuto l'esplosività e la tecnica di Alexis Sánchez. Il cileno, arrivato giovanissimo dall'Argentina, sbocciò sotto la guida di Francesco Guidolin, formando con Di Natale una delle coppie d'attacco più spettacolari del decennio. La stagione 2010-11 fu la sua consacrazione: le sue accelerazioni e i suoi assist trascinarono l'Udinese in Champions League, prima del passaggio al Barcellona.
Roberto Sosa, il bomber di peso
Per completare la lista dei grandi centravanti bianconeri, non si può dimenticare Roberto "El Pampa" Sosa. Attaccante potente e generoso, fu protagonista della promozione in Serie A nel 1998. Il suo carisma e la sua dedizione fecero di lui un giocatore amatissimo dai tifosi, che ancora oggi lo ricordano con affetto.
L'Udinese ha sempre saputo scovare e valorizzare attaccanti di livello assoluto, contribuendo a rendere il campionato italiano una vetrina per talenti emergenti. E mentre il calcio evolve, in Friuli si continua a cercare il prossimo bomber che possa scrivere un'altra pagina di storia bianconera.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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